18/05/12

N°4 - a cose fatte


Cesare Vetro non si è mai visto. Anche le sue foto le hanno trovate in pochi. 
Sarà che oggi un qualsiasi scatto anonimo, ma squisitamente perfetto, può confondersi in modo esemplare dentro a cornici Ikea vendute a prezzi maggiorati, 20 o 30 euro in più, rispetto agli stessi frame vuoti. Parlo di quell'angolo con stampe non d'autore ma gradevoli ai più, modalità take away di fotografia d'arredo. L'immagine bella, frutto di uno scatto altrettanto bello, è dappertutto. E, tanto per fare del luogo comune, persino mia nonna o la mia cuginetta di soli 3 anni, con una Canon D300 (un pò anacronistica e troppo pesante per la prima, e davvero fuori luogo in mano alla seconda) saprebbero realizzare capolavori della tecnica beccando almeno un clic da Irving Penn nei tentativi concessi dal mezzo o aiutate dalla postproduzione di qualche nuova leva della famiglia avvezza ai software. Banalità da bar, o meglio da ristorante (per entrare nel tema).
Perchè è in un ristorante che la N4 ha trovato casa. 
Cesare Vetro davvero non lo si conosce e le sue fotografie, timide come l'autore, sono scivolate in un contesto - alimentare -  un pò per essere viste e un pò no. Forse confuse, come tanti fotografi che provano a orientarsi in una piazza che si è affollata troppo in fretta. Dopo essere entrata nel limbo delle arti "colte" e aver conquistato gallerie e collezionisti, la fotografia ha paura: è a rischio d'estinzione - nonostante la contraddizione  - proprio per l'eccessivo suo proliferarsi. Seconda banalità. 
La terza che voglio dire è questa: se portassimo le polaroid di Mollino dentro al Cafè Elena (spostandole dalla vicina Galleria in Arco) siamo sicuri di non confonderle con le cartoline della bacheca all'uscita? Se è vero che l'abito fa il monaco, e non viceversa, la galleria che fa? E se non c'è un'inaugurazione siamo sicuri che gli ospiti di un ristorante si possano accorgere che le vetrofanie che hanno accanto alle forchette siano opere d'arte? Le altre sono dentro a cornici - decidete voi se Ikea - che, lontane dalle pareti, forse permettono a queste fotografie di rispondere al titolo (Naked Object) e garantirsi di non essere confuse con copertine di una rivista di "dddesign".
Colpo di scena: si, SI! Qualcuno le ha notate, le ha cercate persino - ovviamente non le ha comprate perchè ha già in casa le postcard incorniciate di qualche evento musical-cultural recuperate gratis ormai dappertutto (siamo pur sempre in tempi di crisi!). Arriviamo alla quarta banalità: è l'immagine a essere in crisi, sul serio, almeno così dicono. L'immagine bella per lo più (roba da non crederci!). E' in crisi negli occhi dei fotografi che, spodestati dal primato, si trovano a fare i conti con nonne e nipotini, più temibili del collega Cartier Bresson per Robert Doisneau.
Cesare Vetro - siamo alla 5a banalità se ancora non vi siete accorti che si tratta di uno pseudonimo - ha mandato le sue fotografie non autenticate. Dentro a un ristorante non avranno conquistato lo status symbol del sistema artistico torinese ma hanno conquistato un pubblico che sembra meno assuefatto dei pronostici e ha capito, senza troppo spiegare, che si trattava di "opere d'arte". Esiste allora un decreto presto diventato legge (nonostante ci troviamo in Italia): i contenuti di bellezza non sono teorizzati dalla critica oggi ma stanno nel DNA dell'animo umano. Non siamo assuefatti dal bello, piuttosto facciamo fatica a trovare il "nostro" bello. Il canone che ci insegnava lo studio dalla filosofia è stato adoperato fin troppo dalla comunicazione - unico mercato che si crede ancora in pista  nonostante sia ormai evidente che i suoi adepti  siano usciti dal centro di disintossicazione. La sesta banalità? Riappropriarsi di un po’ di coscienza, anche estetica! 
Roberta Pagani

N°4 - 20 maggio Contesto Alimentare